martedì 10 aprile 2012

Capita



Capita che ti ritrovi appoggiato al vetro della finestra, senza un motivo apparente. Come a voler vedere fuori che si dice, se il mondo per come lo conosci c'è ancora. "C'è, che tu lo voglia o meno". Appoggi prima un dito, poi l'altro, poi pian piano tutto il palmo della mano al vetro, come a volerti sincerare del fatto che ci sia "qualcosa" a separarti da fuori: lì il resto del mondo, l'altro da te; qui tu, con i tuoi pensieri, i tuoi pregi e i tuoi difetti. In mezzo, il freddo del vetro, immobile, silenzioso, a ricordarti la sua presenza.

Più tieni le dita appoggiate al vetro, più inizi a sentire il calore provenire da fuori, i raggi del sole che pian piano riscaldano le tue dita. "O forse è il contrario" subito ti rispondi, "scambio di calore tra corpi di diversa temperatura". E poi, quel calore inizia ad irradiarsi, vitale: dapprima alle gambe, poi ai piedi, e poi di nuovo alle gambe, come un formicolìo. Sembra quasi di sentire i vasi sanguigni dilatarsi, il sangue scorrere più fluidamente, in modo simile al dischiudersi dei fiori. "E' una sensazione piacevole" - senti tra le sinapsi - "ma non è quello che cerchiamo".

Ti accorgi che gli occhi iniziano a farti male. Non riescono a star dietro alla luce, non sono abituati. "Ancora un pò". Strizzi le pupille, dapprima impercettibilmente, poi sempre più intensamente, fino a che gli occhi non sembrano solo due tratti neri. La luce raggiunge la faccia, ora sei completamente irradiato.

Le sinapsi sono mute.

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