martedì 1 novembre 2016

Giudizi (semi-)universali

Il problema dello star fermi, o, meglio, del "sentirsi" fermi, è che più uno avverte questa sensazione, più sente il peso delle scelte fatte. Giuste o sbagliate che siano, ognuna di loro ha un peso specifico sul proprio "sé", sulla propria anima.

Forse perché non si ha nulla di urgente da fare - men che meno si ha la volontà di far qualcosa, in quei momenti la mente pondera cosa fare tra innumerevoli possibilità, e, intuitivamente, ripercorre all'indietro le ultime esperienze, alla ricerca dell'ispirazione, o, quantomeno, di una scadenza.
E' in questo momento che, più o meno inconsciamente - forse figlio di una volontà recondita di rassicurazioni o meno, la mente tiene un bilancio man mano che le ultime vicissitudini passano in rassegna: "Quella frase me la potevo risparmiare", "Ho fatto bene a lasciare quell'ultimo dolcetto", "Dovevo comprare quel libro in vetrina appena l'avevo notato l'altra volta".

Tutte frasi di per sé innocue, ma che, man mano che vengono riascoltate e annotate, peseranno sul proprio io in un bilancio insoddisfacente, anche se positivo.


lunedì 13 gennaio 2014

La scelta dei cinque

C'era una scelta da fare.

Non era una scelta piacevole, ma oramai non c'erano più scuse per rimandarla.

La Razionalità si mosse per prima. Prese dei fogli di carta, un paio di penne, una calcolatrice e si mise all'opera. Non era una scelta semplice, lo sapeva. "Ma con pazienza e logica - disse tra sé e sé - posso venirne a capo". Inizio a disegnare diagrammi, matrici, formule e grafici dettagliati, che misuravano - o almeno provavano a farlo - i pro e contro di ogni possibile situazione, opportunamente soppesati secondo un rapporto di utilità e sconvenienza.

L'Istinto guardò la Razionalità e pensò che era un modo di procedere forse giusto, ma decisamente troppo lungo, non c'era neppure un'idea di partenza. Così chiuse gli occhi, si sedette a gambe incrociate, e si mise a meditare su come procedere, aspettando che l'ispirazione gli desse dei suggerimenti.

Sotto al tavolo dove stava lavorando la Razionalità, si era rannicchiata da un po' la Paura. Era tutta tremante, la sua fronte era una collezione di gocce fredde, e, col cuore a mille, si guardava intorno nervosamente, con aria molto preoccupata. Non ne voleva sapere di scegliere, almeno in quel momento: non si sentiva pronta e, pertanto, era paralizzata dal prendere una decisione, giusta o sbagliata che fosse. Ma non era più possibile procrastinare la scelta, lo sapeva. E più ci si raccapezzava, o almeno ci provava, a suo modo, più aumentava il panico.

Subito dopo fu il turno della Pigrizia: risvegliata dai mormorii della Paura, dallo sbatter dei denti della Paura e dal ticchettio della calcolatrice della Razionalità, constatò la situazione. Capì cosa stava accadendo, era il momento di scegliere; e a suo modo lo fece: con la sua flemma usuale, si girò dall'altra parte e riprese a dormire.

Tutto andò avanti così per un po' di tempo. Finché la Rabbia, stanca a suo dire "di tutto quel girare a vuoto" davanti ai suoi occhi, decise di occuparsi della scelta da fare. La Paura, forse subodorando quanto sarebbe accaduto, corse immediatamente fuori da sotto il tavolo, a rannicchiarsi in un angolo della stanza, in posizione fetale, e si coprì gli occhi sperando che qualsiasi cosa fosse accaduta di lì a poco, sarebbe avvenuta rapidamente. Senza troppo pensare, la Rabbia ribaltò il tavolo della Razionalità, facendo cadere a terra tutti i fogli coi suoi calcoli. Subito dopo guardò l'Istinto, che cercava di non farsi distrarre, per non perdere la concentrazione: gli diede una spinta, poi un'altra e un'altra ancora, finché l'Istinto non si ribaltò a terra. Infine, si lanciò contro la Pigrizia, nuovamente risvegliata dal frastuono di poco prima, costringendola ad alzarsi.

E fu così che la scelta venne fatta.

mercoledì 16 ottobre 2013

de Amore: liberi pensieri, detti (poco) comuni ed elucubrazioni fine a sé stesse in un libero post



Non so molto dell'amore.

Lo so, è una espressione banale. Ma è la verità. Ne so quanto ne hanno trattato diversi autori nel corso dei secoli, sapientemente riassunti e commercializzati da una nota casa dolciaria. Ne so quanto mi hanno insegnato anni di film, telefilm, cartoni animati di rapporti sentimentali "coi problemi" (E' quasi magia, Johnny! ce l'ho proprio con te). Ne so quanto ho potuto raccogliere da vari racconti e testimonianze indirette e (fugacemente) dirette. Quindi non ne so molto.

Quel poco che ne so, poi, conferma il fatto che non ci sia molto da sapere. Il problema, volendolo affrontare empiricamente, è che si cerca di dare connotazione razionale ad un qualcosa che non ha connotazione razionale. Non completamente almeno: ormoni, feromoni, chimica, dna, giù giù fino a trascendere in espressioni come vite passate, anima gemella, ecc. Così come altre definizioni usate per aiutare a comprenderlo: voler bene a qualcuno, prendersi cura di qualcuno, voler stare con qualcuno, non rendono completamente l'idea in maniera assoluta, proprio perché è un "oggetto" sfuggente a qualsiasi definizione.

Quando penso che definizione darei alla parola "amore", uno dei ricordi più vividi è di un monologo. Anni fa, in epoca pre-internet, ero davanti alla tivù, su Rai Due. C'era uno spettacolo in seconda serata: protagonista un divano, con su due persone famose che parlavano a ruota libera, o almeno era quello che il programma prometteva, per una ventina di minuti. Ogni puntata un paio di coppie, non rivelate fino alla messa in onda (ricordo: epoca pre-internet). Il divertimento era vedere come interagivano tra loro persone appartenenti a mondi diversi, per esperienze, crescita e anche credo religioso. Un cantante pop e uno scrittore potevano mettersi a parlare di cucina, e scoprire cose in comune, in una specie di divertissement cazzaro a poco prezzo. Ma mi sto dilungando.

Una sera, in uno di questi sketch c'era Rocco Papaleo. Ben lontano dai fasti (?) sanremesi e dall'umorismo finto-caserma che lo ha contraddistinto di recente. Non ricordo chi fosse l'altra persona, forse non era importante. Quello che ricordo è di cosa si parlava: di amore.

(Disclaimer: non ho una memoria eidetica, pertanto quello che segue è una libera reinterpretazione, con, innegabilmente, diversa farina del mio sacco.)

"Io amo le donne", esordì Papaleo. "Al di là di facili battute, le amo. Hanno le voci un po' più dolci degli uomini, o più buffe. Sono morbide da abbracciare. Sono rassicuranti, sono incoraggianti: sono capaci di farci e disfarci con la loro sola silenziosa presenza."

"Però, a volte si dice che siano loro il problema. In realtà dopo tutti questi anni, solo di recente ho capito che il problema spesso non sono loro: molto spesso è il modo con cui ci rapportiamo a loro. Il modo con cui proviamo a reagire alla loro presenza. Non è un modo unico di sbagliare, ognuno sbaglia come più gli aggrada."

"Io, ad esempio, quando mi piace qualcuna non riesco a nasconderlo. So di persone, presunti "esperti" della materia, che inorridirebbero o mi prenderebbero in giro per questa cosa. Probabilmente direbbero che è un difetto, e forse lo è: non puoi sempre giocare a carte scoperte, specie se il gioco non ne prevede. Ma quando mi innamoro di qualcuna è un piccolo evento nella mia vita: e voglio festeggiare questo piccolo evento. Voglio condividere il benessere che l'innamoramento mi porta, voglio esternarlo, soprattutto a chi mi sta vicino. Vorrei poter dire "Eccola lì, la felicità! Guardate, non arrendetevi! La, o, meglio, UNA felicità, è lì, vicino; troppo vicino perché forse sia raccoglibile da tutti. Ma è lì, silenziosa. Come una donna, per l'appunto."

"Il punto è che questa gioia acquisita, seppur effimera, è facilmente malvista, è giudicata inopportuna. Quasi con fastidio. Molto spesso, poi, dalla stessa persona che, magari inconsapevolmente, ci ha donato così tanto. La chiarezza che si raggiunge può essere devastante, quanto è liberatoria e, purtroppo, solitaria. La volta che mi sono dichiarato, alla mia attuale moglie, ancora me la ricordo. E lei, quando la racconta a qualche amica, ride come la prima volta. Ma non è una risata di scherno, affatto: è la risata di chi capisce e prova lo stesso, una risata di comprensione."

"Scusami - le dissi - se non posso fare a meno di osservarti quando ti vedo attraversare la strada per raggiungermi. Scusami se quando non ci sei, non faccio altro che pensare a te, e a come tutto sarebbe bello, come tutto funzionerebbe, se tu fossi qui. Scusami se ti metto in imbarazzo, perché quando sento la tua voce, quando sento la tua risata, è come se mi stessero cullando. Scusami, non posso farci nulla: finirei per snaturare ciò che provo per te, nascondendolo o, peggio, appiattendolo. Ti amo, e non posso farci nulla. Ti amo."

Applauso a scena aperta.

domenica 1 settembre 2013

Il corridoio

Ero in un corridoio bianco, di un bianco che a fissarlo dopo un po' faceva quasi male agli occhi, come se fosse un unico neon ininterrotto. Ricordo che il corridoio sembrava estendersi all'infinito, e, per quanto lo sguardo si spingesse in avanti, sembrava non finire mai. Un'altra caratteristica che ricordo era il silenzio: sentivo solo i miei passi e nient'altro; provai a parlare, ma non sentivo la mia voce, o anche solo una eco. Solo i miei passi. Neppure un ronzio, neppure un qualcosa che mi aiutasse a capire, se non dove fossi, quanto tempo ci sarei dovuto rimanere.

Dopo alcuni minuti lì, immobile, la vista si era adattata alla luce, al che decisi di incamminarmi, per esplorare il posto. Nello spostarmi notai che ai lati del corridoio c'erano come delle rientranze, a forma di porte. Anche queste, inutile dirlo, pressocché infinite: non mi sarebbero bastate 2 o 3 vite per controllarle tutte.

Mi ero avvicinato ad una di queste "porte", quando dall'altro lato sentiì delle voci. Non riuscivo a distinguere cosa dicessero, una voce sembrava femminile; qualcosa, tuttavia, mi diceva che erano voci familiari. Nel toccare la porta, il materiale luminoso che la formava si ritrasse, e scomparve.

Dall'altra parte mi si era palesata davanti una scena tenera: un bambino che parlava con una donna, molto più grande di lui. Il bambino aveva in mano qualcosa, un giocattolo. Stavano parlando, in modo calmo. Anzi, lei parlava molto, lui ascoltava e ogni tanto sembrava chiederle qualcosa. Non riuscivo a sentire cosa dicessero, ma sembrava che lei gli stesse spiegando come funzionasse il giocattolo. Quest'ultimo colpì la mia attenzione: "Curioso, - pensai - assomiglia molto ad uno simile che avevo da piccolo". Guardando meglio la donna, notai che anche lei aveva un'aria familiare. "Assomiglia molto a mia madre da giovan...". Non finiì la frase, non ne avevo più bisogno.

Stavo guardando me stesso in un flashback.

Appena realizzata la cosa, la scena si fermò, e le luci si spensero, come se avessi spento un televisore. Feci un passo indietro, e il materiale luminoso richiuse la porta alle mie spalle. Mi avvicinai ad un'altra "porta", ed ecco un'altra scena: stavolta mi riconobbi, ero a qualche anno di distanza dall'ultima scena; con me c'era mia nonna, a guardare la televisione. In un'altra scena ero a scuola, e parlavo con una compagna di banco, mentre scrivevamo qualcosa. Per un po' la cosa andò avanti così: mi avvicinavo ad una porta, vedevo la scena, mi allontanavo, la porta si richiudeva, facevo qualche passo avanti lungo il corridoio, e si ricominciava. In ogni scena c'ero sempre io, in vari momenti della mia vita, e con me c'erano sempre altre persone, di sesso femminile: compagne di scuola, ragazze di cui ero innamorato, parenti, ex-fidanzate, amiche, e così via.

Mi ero fatto un'idea di cosa fosse quel posto: poteva essere una rappresentazione della mia mente, se non della mia memoria. Eppure c'erano particolari che non ricordavo, fino al momento prima di riconoscerlo. Un po' come quando un ricordo non è "vivo" in sé nella propria testa, ma lo diventa quando associato ad una sensazione che lo fa scatenare. Altro particolare da non sottovalutare: ogni volta ero sempre con una compagnia femminile. Qualsiasi cosa volesse significare.

Appena ebbi finito di raccogliere le idee, una (solita?) voce fuori campo disse:
"Puoi continuare a guardare i tuoi ricordi finché vuoi, a scandagliarli fino al più piccolo dettaglio. Ma devi accettare che non c'è sempre un modo giusto in assoluto di comportarsi. E' ora di lasciarti andare."

martedì 6 agosto 2013

Pacific Rim: un film con un'anima.

In una sola immagine, quello che penso di questo film e di Attack on Titan


- Pronto?
- Pronto, parlo con Michael Bay?
- Sì, chi è?
- Salve, la chiamo a nome della Legendary Pictures. L'abbiamo contattata perché abbiamo un soggetto su cui vorremmo fare un film, e lei ci sembra la persona adatta.
- Mi dica...
- Bene, vorremmo fare un film dedicato ai cartoni animati giapponesi con i robottoni, ha presente? Tipo Goldrake, Mazinga...
- Mmm...capisco. Beh, decisamente vi siete rivolti alla persona giusta, me lo lasci dire. Ho fatto così tanta esperienza con i Transformer che...
- Ecco, sì, ma noi volevamo fare qualcosa che non sembrasse "Transformer senza i transformer". Volevamo un film spettacolare, sì, ma che comunque fosse qualcosa di più che un semplice mezzuccio per far vendere giocattoli...
- Ah. Certo, mi rendo conto. Un film più impegnato, più serio. Come Transformer 3.
- Ehm...sì, diciamo. Lo studio vorrebbe sentire un po' come immagina certe scene. Le racconto la trama così può capire il contesto: da una faglia aperta nell'oceano escono dei mostri giganti. L'umanità si riunisce e costruisce dei robot per combatterli, e all'inizio...
- Sì sì, ho capito benissimo. Come le dicevo, oramai sono pratico di film con i robottoni. Anzi, potrei dire che sono il massimo esperto: Spielberg ha diretto solo quello della boxe tra robot che, mi lasci dire, era ridicolo. Come si fa un film con i robot senza neppure una esplosione? Andiamo!
- ...sì. Mi descriva qualche scena, le spiace?
- Ecco, io immagino una inquadratura di una città, la più vicina alla faglia da cui escono i mostri. Persone che camminano, auto, mi segue? Poi all'improvviso BOOM! Esplodono i vetri dai palazzi! BOOM! Alcune auto per strada si ribaltano! La gente è spaventata, è naturale. Guardano tutti verso l'alto...BOOM! Un aereo di linea cade su un grattacielo - così c'è anche il momento drammatico che ricorda il 9/11, e i critici sono contenti. Poi si vede il mostro: una cosa enorme, mastodontica, che non entra in una inquadratura. Si muove con una lentezza incredibile, prende un'auto e la scaraventa contro un ponte dove sta passando un treno...BOOM!
- Ehm, sì, capisco. Ma i personagg...
- E poi BOOM! Il mostro ribalta altre auto e si avvicina ad una bambina che è rimasta lì. La bambina lo fissa terrorizzata, il mostro sembra stia per schiacciarla...attimi di suspense...e poi BOOM! Arriva un robot gigante degli Americani, pilotato dal protagonista che ribalta il mostro contro un palazzo. BOOM! Il palazzo crolla! La lotta va avanti...i due mostri si scrutano l'un l'altro...e poi si affrontano! L'onda d'urto degli impatti fa volare via diverse macchine che esplodono! BOOM! BOOM!
- Sì, senta....
- E poi BOOM! Ancora...
- Signor Bay?
- BOOM!
- SIGNOR BAY?
- Sì, scusi. Ero in pieno vortice creativo. Mi dica?
- Guardi, temo che il film come ce lo sta descrivendo non sia come gli studios se lo immaginavano. Mi spiace, ma credo che non se ne farà nulla. Mi spiace per il tempo che le abbiamo impegnato.
- Spiace più a me: tutto questo materiale me lo terrò per Transformers 4. Peggio per voi, avete buttato una potenziale miniera d'oro! *click*

...

- Pronto?
- Il signor Guillermo Del Toro?
- Sì?
- Salve. La chiamo per conto della Legendary Pictures. Avremmo la sceneggiatura per un film, e vorremmo sottoporgliela per sapere se è interessato.
- Capisco. Di cosa tratta?
- Vorremmo fare un film che richiami le atmosfere della produzione orientale d'animazione su robot giganti.
- Mi ricorda dei cartoni che vedevo tempo addietro...Mazinga, Goldrake...
- Sì, è esattamente questo che immaginavamo. Guardi, le racconto la trama, così può farsene un'idea: da una faglia aperta nell'oceano escono dei mostri giganti. L'umanità si riunisce e costruisce dei robot per combatterli, e all'inizio sembra funzionare. Ma naturalmente non tutto è quello che sembra...
- Certo, certo. Però, pensavo, il tutto andrebbe attualizzato. Non è che possiamo riproporre il materiale già esistente, rielaborato giusto per nostalgia. Potremmo prendere ispirazione da prodotti più recenti che hanno già approfondito alcune questioni, tipo Evangelion. E poi il dualismo uomo-macchina, i rapporti tra persone unite da una lotta impari. E poi ci sarebbe il discorso della scienza, sia per come spinge gli esseri umani a ottenere e lavorare con mezzi per fermare una minaccia, sia per come cerca di studiare questi alieni, questi mostri o quel che siano...c'è davvero molto di cui parlare.
- Molto bene, mi sembra affine alla visione degli studios.
- Però devo confessarle che non ho mai diretto finora un film di questo genere. Se accetterò vorrò avere un po' di libertà creativa, per poterne fare una mia visione di quel mondo.
- Non so, dovrei parlarne con gli studios...mi può fare un esempio?
- Beh, come le ho già detto non vorrei farne solo un film "di robottoni che lottano". Sono d'accordo che è un film di cassetta estivo, e capisco le esigenze degli studios, ma voglio che, ad esempio, i personaggi non siano troppo piatti, che siano sì riconoscibili, ma non bidimensionali.
- ...capisco. Poi?
- Poi vorrei che ci fossero momenti di paura. Sia per i più piccini che per i grandi. E non paura alla Tim Burton, "oh guardate, i mostri non sono cattivi". I miei mostri lo saranno, cattivi. E faranno paura.
- Preso nota. Altro?
- Ah sì, vorrei che Ron Pearlman avesse una parte. Non sarebbe un film "mio" altrimenti.
- Capito. Vedrò cosa diranno gli studios, ma non penso ci saranno troppe obiezioni.
- Bene. Sono lieto che ci sia sintonia tra la mia visione e quella degli studios.

...

- Senta...
- Sì, signor Del Toro?
- Mi tolga una curiosità: non sono la prima persona cui avete pensato come regista, sbaglio?
- Non dovrei dirglielo...ma avevamo pensato ad un altro candidato. Che magari avesse già confidenza su film con robot giganti. Sa, il budget imponente, il peso che gli studios vogliono dare al film...
- E che è successo? Ha rifiutato?
- Diciamo che aveva vedute diverse dagli studios sullo stile del film.
- Capisco. E' un problema se ne terrò conto durante la lavorazione di alcune scene?
- Non credo.
- Molto bene. Accetto la proposta. Grazie per l'opportunità, a presto! *click*